Novità editoriali di taglio comparativo


Segnaliamo la pubblicazione in inglese, pressoché in contemporanea, di tre volumi di impianto comparativo, col contributo di alcuni tra i più eminenti studiosi internazionali del curricolo di storia e della sua trasposizione didattica.  Il primo della serie  (Negotiating Ethnic Diversity and National Identity in History Education.International and Comparative Perspectives, a cura di  Luigi Cajani  e Helen Ting. Cham, Spinger 2023)  esamina, con un respiro globale, il modo in cui il compromesso tra soggettività e memorie di svariate minoranze etno-nazionali è stato “negoziato” nella metamorfosi dei canoni dell’insegnamento nella storia in cinque paesi di cultura asiatica, e cinque appartenenti in senso lato al mondo occidentale (Canada ed Australia comprese).

L’angolo focale degli altri due volumi appare invece prettamente europeo. History Education on the edge of the Nation (a cura di Piero S. Colla e Andrea Di Michele. Cham, Springer 2023) si propone di esaminare in una ampia prospettiva storica – che spazia dai primi del ‘900 ad oggi – i risultati della competizione tra un canone storico centralistico e narrazioni alternative o antagoniste, entro realtà geografico-politiche “periferiche”: territori contesi, ceduti o riconquistati (come l’Alsazia), ovvero investiti (come, l’Alto Adige e la Valle d’Aosta, o altre realtà minoritarie non circoscritte ad un’area precisa) di crescenti poteri autonomi nella definizione dei propri curricula. Il teatro dei saggi compresi nel volume (il cui sottotitolo recita: Political Autonomy, Educational Reforms, and Memory-shaping in European Periphery) sono appunto i “margini”, geografici e mentali, dei grandi stati nazionali; margini entro i quali il riferimento a un mito fondatore o a un patto di cittadinanza unificante appare più incerto, esposto alle sollecitazioni del dibattito pubblico e dell’agitazione politica locale.

Il terzo volume è Conflicts in History Education in Europe Political Context, History Teaching, and National Identity (a cura di Ander Delgado e Andrew Mycock. Charlotte, IAP 2023). Prendendo spunto dalla crescente politicizzazione del dibattito sui contenuti insegnati, gli autori mettono a confronto gli esiti della radicalizzazione delle istanze identitarie, tra scuola, politica e società, che si è prodotta dal 1990 in avanti. In tutti i contesti considerati –  dal Regno Unito al Belgio, dalla Spagna all’Italia – le “guerre tra memorie” hanno trascinato i programmi di storia al centro delle polemiche: tuttavia, gli accenti, le soluzioni politiche e gli esiti didattici del confronto appaiono estremamente diversificati, e in continua evoluzione.  Il dibattito incorso sul “canone” storico delle Fiandre belghe, o i contrasti attorno alle competenze delle comunità autonome spagnole in materia scolastica e linguistica, ne sono una prova.

Malgrado la trattazione abbracci anche realtà nazionali remote, e relativamente ignorate dalla ricerca internazionale sulle politiche pubbliche della memoria, dai tre volumi affiorano aspetti familiari del dibattito contemporaneo attorno al curricolo di storia: la costante ridefinizione, per mezzo della scuola, dei cardini (mistici?  etnici? valoriali?) dell’identità nazionale, da un lato, e la spinta crescente di istanze di riconoscimento, fondate sulla soggettività e il riconoscimento della differenza, dall’altro. Due opzioni metodologiche sottese ai tre volumi aiutano il lettore a navigare tra queste polarità, spesso contrapposte in modo astratto o polemico. La prima consiste nell’esaminare la ricerca di sintesi, propria all’insegnamento codificato della storia, senza astrarla dal riferimento, rigoroso, a un quadro di storia politico-istituzionale ed a una genealogia delle ideologie della cittadinanza, e delle sue crisi. Dalla politica culturale alla gestione dei flussi migratori, dai rapporti tra Stato centrale e poteri locali, all’intervento degli organismi sovranazionali, gli autori prendono tutta la misura di dinamiche politico-identitarie distinte, che determinano – in grande misura – la cornice del dibatti sui contenuti scolastici, e finalità della storia.  L’evoluzione di questi è perciò inserita entro le categorie locali, storicamente determinate, e dei rapporti di forza entro cui vecchie e nuove visioni dell’appartenenza e della cittadinanza prosperano, o decadono.

D’altro canto, anche quando si concentrano su un singolo libro di testo, o su una riforma, i saggi contribuiscono ad uno sforzo di trascendere gli stessi contesti nazionali, e i cliché retorici che li accompagnano (l’interminabile dibattito francese sul “romanzo nazionale”, sul nostro “Risorgimento”, o sull’Impero britannico), a vantaggio di una lettura transnazionale dei principali fattori di novità (il revival del tema delle radici etniche) e le principali linee di frattura. In filigrana, è possibile scorgere il ruolo delle forze sociali interessate ad imbastire, in nome del risarcimento di ingiustizie subite, o della pacificazione di conflitti in corso, narrazioni antagoniste o “ibride”. La rivisitazione critica dei crimini del passato, anche e soprattutto nel contesto dell’eredità coloniale, è un elemento di questo processo.

Dai tre libri emergono chiaramente alcuni snodi periodizzanti, che possono legare i casi trattati : l’affacciarsi delle minoranze culturali nel discorso politico in Europa dopo l’89, il cultural turn che ne amplifica gli echi nel dibattito intellettuale, le spinte dei processi di globalizzazione e dell’integrazione politica dell’UE, fino all’ascesa dei nuovi nazional-populismi… – ma anche una luce sul ruolo specifico che istituzioni, movimenti d’opinione, autori di manuali e ausili didattici svolgono in queste controversie, e nella crisi globale di un canone monoculturale lineare.

La scelta di affrontare, con occhi nuovi, focolai di tensione attorno al canone relativamente assenti dal dibattito – come nella trattazione (nel libro curato da P. S. Colla e A. Di Michele),  di una pluralità di micro-traiettorie di “emancipazione” da una narrazione nazionale (conflitti di apparente carattere provinciale, che sfociano spesso sulla tentazione di un nuovo etnocentrismo) favorisce questa apertura euristica. In controluce della lunga genealogia di “canoni” minoritari o alternativi, emergono tutte le sfide attuali della frammentazione (o della ricostituzione) del curriculum, tra differenze rivendicate e un uso identitario della storia nazionale sempre più controverso. Nonché le soluzioni, spesso creative, escogitate in contesti diversi per stemperare tensioni e frustrazioni. 

È interessante rilevare che i tre volumi si caratterizzano per una ragionata scelta interdisciplinare (che intreccia approcci didattici, politologi e di storia dell’educazione), abbinato ad un encomiabile pluralismo di visioni – in un campo, la tensione tra minoranze e maggioranze, spesso oggetto di intransigenze militanti. I volumi vengono così ad arricchire un corpus di ricerca sul rapporto tra costruzione dei canoni, ritratto della nazione e relazioni interetniche (sulla scia per esempio de L’Ecole et la Nation, del 2012, a cura di B. Falaize), senza che per questo i rispettivi campi d’indagine vengano a sovrapporsi.

 I campi tematici indagati nei tre volumi sono in effetti ben distinti tra loro. In Negociating Ethnic gli esiti della decolonizzazione, la diversità dei processi di “scoperta” o di “invenzione” dell’etnicità e dell’appartenenza – dal Canada alla Tailandia o all’Australia, in parallelo con la creazione a livello internazionale di una vulgata multiculturale e inclusiva,  sono il filo conduttore, che gli interventi arricchiscono di esempi empirici (legati alla difficile gestione dell’eredità postcoloniale e di conflitti interetnici, dichiarati o latenti) generalmente ignorati nel dibattito europeo in scienze dell’educazione.  La posta in gioco è generalmente la risposta, più o meno efficace, alle sfide poste alla coesione nazionale e (nel caso dei processi di revisione dei manuali) il possibile ricorso alla storia come terapia della frammentazione identitaria.

L’originalità di History Education at the Edge… sta invece nell’affrontare politiche educative e immaginario dai margini, in contesti dove la legittimità dello Stato centrale è particolarmente precaria.  La diversità – in Süd Tirol o in Alsazia – non è una moda recente, è un dato politico e non eliminabile –  la profondità storica dei conflitti (ma anche il legame con l’Unione europea) getta una nuova luce su conflitti nuovi.  In Conflicts in History Education,  infine, la storia insegnata appare come il teatro ideale dove si inscenano (e a volte si esasperano) processi di ridefinizione della memoria legittima : l’affermazione politica di una coscienza nazionale (come nelle comunità autonome spagnole) o la riattualizzazione della memoria dei crimini della colonizzazione (esaminata da Giovanna Leone, per il caso italiano).

La lettura di questi nuovi volumi è consigliata a chi intenda accostarsi con un respiro storico, prima che normativo, ad alcuni dei motivi di tensione attorno ai canoni scolastici dell’insegnamento della storia – accettando che la relazione tra canone e alterità culturale è da sempre oggetto di controversie, e non può essere dominata intellettualmente, se non passando dalla storia che l’ha generata.   Il conflitto espresso nel riconoscimento di popoli autoctoni come i Sami svedesi o finlandesi, la situazione postcoloniale in processi di Nation building recenti o incompiuti, o le tensioni legati alla presenza di immigrati in paesi di tradizione centralista e storicista, aprono questioni di principio con cui urge confrontarsi – anche per ricavarne qualche utile insegnamento per le discussioni che ci attendono in Italia.